Cofete, il confine con la fine del mondo

Tra un oceano rabbioso e montagne austere si adagia un piccolo borgo 

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Cofete

Nel precende articolo la baia di Albarca mi lasciò senza parole con le sue rocce dalle forme stravaganti. Ma il mondo è pieno di luoghi simili, dove la natura è sovrana e l’uomo può solamente prostrarsi fronte a essa.

Questa volta mi trovo a Fuerteventura dove una spiaggia immensa e una catena montuosa di origine vulcanica lasciano spazio solo per trattenere il respiro alla sua vista.   

Fuerteventura

Con una storia di quasi 20 milioni di anni e a meno di 100 km dalla costa africana si trova Fuerteventura, un’isola dell’arcipelago delle isole Canarie. Il suo territorio risalta per le sue dune di sabbia impressionanti e vulcani inattivi che fanno da contorno a un paesaggio spesso arido e privo di vegetazione rigogliosa. Un ambiente costantemente battuto da vento e onde ricercate da surfisti e appassionati di kitesurf. 

La storia di Cofete

Corralejo è il centro nevralgico del turismo a Fuerteventura. Localizzato al nord dell’isola con hotel, ristoranti, spiaggie e bellissime dune di sabbia. Un luogo dove i turisti possono godersi il paesaggio e divertirsi. Ma c’è un posto sperduto nel sud ovest dell’isola che distacca per la sua bellezza naturale e impressionante paesaggio. Cofete. 

Situato nella costa sud ovest nella penisola di Jandia nel bel mezzo di una riserva natulare: Il parco naturale di Jandia . Una catena montuosa di origine vulcanica di 14 km e alta 800 metri circa, isola Cofete adagiata su un terreno brullo ma al tempo stesso immenso, che si perde a vista d’occhio.

L’area di Cofete da tempo immemorabile è stata sempre zona di pascolo e coltivo da parte dei Los Majoreros, l’antica popolazione di Fuerteventura. Dopo la conquista del impero spagnolo nel XV secolo, nel 1816 vi si stabiliscono permanentemente alcuni coloni. Vennero così costruite le prime case per permettere lo sfruttamento del terreno con coltivo di cereali, legumi e qualche albero da frutto oltre che al pascolo di capre. Nel 1826 la zona contava già con 28 persone, le quali rimanevano temporalmente in questa zona. Cofete raggiunse il suo apogeo nel 1834 con un totale di 67 persone. 

A metà del XX secolo purtroppo inizia una lenta ma inesorabile decadenza del borgo, dovuta a siccità e altre difficoltà. Poco a poco gli abitanti decisero di trasferirsi a Morro Jable. Nel 1950 solo 6 famiglie risiedevano nella zona dedicandosi ad un’esile pastorizia ed estrazione della calce. Dopo soli 10 anni nel 1960 Cofete scompare come borgo dai registri ufficiali. 

Al giorno d’oggi solo poche famiglie risiedono a Cofete, le quali stanno lottando perchè possa essere riconosciuto ufficiamente come borgo. 

Arrivare a Cofete

La storia affascinante di questo luogo desta la mia curiosità. Dalla città di Corralejo prendo la strada che attraversa tutta l’isola, proseguendo in direzione sud fino a Morro Jable. 

Il paese, tipica meta per turisti, si affaccia al mare con tutte le comodità che il mondo moderno richiede. Supermercati, ristoranti, luce elettrica, acqua corrente. Attraverso l’urbanizzazione quando ad un certo punto un timido segnale indica il percorso per arrivare a Cofete. Sono circa 15 km di strada che si potrebbero fare in un quarto d’ora, ma non è così. L’asfalto velocemente lascia spazio alla terra battuta, insinuandosi tra le creste e le valli della catena montuosa di Jandia. 

E’ un viaggio lunare. Terra grigia e rocce a perdita d’occhio tra montagne che ne tagliano l’orizzonte. Poco a poco si sale tra tornanti e curve in un ambiente sempre più inospitale. La vegetazione si fa rada e prende forme tenaci e aspre quando trova modo per appigliarsi a un angolo di terra fertile. 

L’ascensione lenta e costante termina. Giungo al Mirador de Cofete a 234 metri s.l.m. La vista da qui è a dir poco impressionante. La strada in terra battuta, scende serpeggiando fino ad un paio di case in lontananza. La catena montuosa si estende a perdita d’occhio con pareti che scendono dolcemente fino ad adagiarsi su un tratto di spiaggia color oro. L’Oceano Atlantico posa incessante le sue onde sulla sabbia. Un luogo nascosto e ben protetto da forze naturali antichissime. 

Il panorama riempie gli occhi di stupore e l’immensità del paesaggio non ti lascia spazio per respirare!

Potrei rimanere ad ammirare per ore il paesaggio se non fosse per gli alisei che soffiano con forza. Aprire la portiera dell’auto può risultare difficile. La contemplazione termina spinta dalla voglia di arrivare fino alla spiaggia, vedere quelle onde da vicino e osservare il borgo conosciuto in tutta l’isola.  

Il percorso fino a Cofete

Seguendo la lingua di terra battuta scendo poco a poco. La guida verso il piccolo borgo è spesso distratta dallo scenario da fine del mondo che ad ogni tornante mi si para davanti.

Case di pietra qua e là costituiscono la frazione, intervallate da terra brulla e qualche coltivazione. La sensazione di possanza dei monti mi fanno voltare lo sguardo verso l’oceano, il quale non ti dà respiro per le sue onde. Non c’è via d’uscita. La strada termina sulla spiaggia immensa. Il paesaggio circostante da un senso di pace mischiato a perdizione dovuto ai grandi ed immensi elementi che disegnano tale panorama. 

In lontananza, battuto da vento, nei pressi della spiaggia risiede un luogo sacro. Il cimitero di Cofete. 

L’origine del cimitero

Essendo la zona di difficile accesso e con una sola strada percorribile, per gli abitanti di Cofete interrare i propri cari, nei pressi del comune di Pajara, risultava troppo difficile e lungo. Così decisero di dare degna sepoltura in un luogo che fosse di tutti e di nessuno al tempo stesso: la spiaggia.

Il cimitero è costituito da un simbolico recinto e qualche muretto i quali delimitano lo spazio dove si presume siano sepolte più di 200 persone. A marcare l’entrata trovo una porta di legno senza lucchetto, la quale al suo lato destro mostra i nomi e cognomi delle salme mentre una placca d’acciaio ne narra l’origine e la breve storia. 

La semplicità del cimitero è in continua lotta contro le dune di sabbia. Le tombe adornate con piccole croci di legno e pietra vulcanica mi fanno capire che qui non era facile vivere. Un luogo dove i residenti vivevano di pastorizia e coltivo adattandosi ai ritmi e le asprezze della natura. 

Cofete

Umiltà e rispetto e ciò che richiede questo luogo.

Guardando al pendio scosceso dei monti, si intravede un unico edificio peculiare, una villa di colore bianco. 

Villa Winter

Il proprietario di questa villa, un tedesco di nome Gustav Winter, fu locatario dell’intera penisola di Jandia. A quel tempo la presenza del tedesco, le relazioni tra i nazisti e la Spagna franchista fecero risuonare ancora oggi non poche storie e leggende su questa casa sperduta.

Fatto sta che chiunque giunga da quell’esile strada d’accesso rimane colpito per la spettacolare formazione geografica di questo luogo. Un ampio corridoio naturale delimitato per un lato da montagne possenti e dall’altro da un instancabile oceano.

Nel 2014 fu utilizzata nel set del film Exodus di Ridley Scott. 

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Marco Pachiega